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Compagnia di Maria Associazione di Promozione Sociale No Profit

COME DIFENDERCI DA UN TORTO PATRIK

Quando subiamo un torto, quando siamo attaccati, viene spontaneo profondersi in sfiancanti difese, ma non è questo l'atteggiamento che il Signore si aspetta da noi. E' vero che avremmo tutto il diritto di farlo, finanche se le situazioni fossero di pertinenza legale, ma per il nostro bene sarebbe opportuno evitare qualunque tipo di discussione perchè questo ci renderebbe vulnerabili agli assalti del nemico. Forse dirai: "Così, però, la faranno franca!" Assolutamente no! Dio è Colui che giudica, non tu. Ricorda che quanti ti criticano lo fanno secondo conoscenze limitate; Dio, invece, conosce la verità e affronterà i tuoi avversari a tempo debito. Insistendo nella tua autodifesa e nel dimostrare il loro torto, entri in un territorio che appartiene esclusivamente a Dio. La Bibbia afferma: "Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi a fare il bene davanti a tutti gli uomini. Se è possibile per quando dipende da voi vivete in pace con tutti gli uomini. Non fate le vostre vendette...ma cedete il posto all'ira di Dio; poiché sta scritto: « A me la vendetta; io darò la retribuzione», dice il Signore. Anzi, « se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, facendo cosí, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo». Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene. (Romani 12:17-21). La ritorsione non è mai dolce; lascia sempre l’amaro in bocca e ci tiene talmente legati da non riuscire a godere le benedizioni di Dio. Non permettere che ciò accada ma, al contrario scegli di perdonare e dimenticare. La mancanza di perdono suscita solo risentimento. A pensarci bene che senso ha dimostrare il torto altrui prendersi le ragioni e poi essere infelici? Talvolta la fonte del nostro rancore è occulta perché non metabolizziamo le nostre sofferenze irrisolte. L’ira esasperata è spesso sfogata sulla persona sbagliata, per cui invece di affrontare chi ci sta facendo del male, ci sfoghiamo su quanti ci sono più vicini. Chiedi a Dio di mostrarti dove si nasconde il vero problema e affrontalo. Ricorda che la compassione guarisce mentre l’incapacità di perdonare ti rende una vittima perenne. Dio ha promesso che farà giustizia, pertanto rinunciando a difenderti aprirai la porta al Signore che lo farà per te! Riponi ogni cosa nelle Sue mani, e se proprio devi pareggiare i conti con qualcuno, fallo con le uniche persone che ti hanno aiutato.

Il cieco di Gerico : Bartimeo

IL GRANELLINO🌱
(Mc 10,46-52)

IL Cieco di Gerico rappresenta l'umanità intera che, dopo il peccato originale, perse la visione di Dio amore. Perdendo la visione di Dio amore, l'umanità è entrata in un vortice di peccati che hanno causato dolori e sofferenze a non finire. Qual è stato lo scopo dell'Incarnazione di Gesù? Quello di restituire all'umanità la visione di Dio perché adorasse e amasse il vero Dio, fonte di pace, gioia e amore. Solo così si capisce il grido insistente di Bartimeo: "Signore, ridonami la vista!". Gesù, luce del mondo e volto del Padre celeste, accoglie la preghiera del cieco e gli aprì gli occhi del cuore perché ritornasse a vedere e gustare il Dio dell'amore misericordioso.
Il popolo che non accoglie Gesù cammina nella tenebra e adora un Dio che non conosce. Perciò, oggi Gesù dice agli Ebrei, Islamici, Testimoni di Geova e a tanti altri popoli che ancora non hanno ricevuto il Vangelo: "Voi adorate un Dio che non conoscete!". Chi accoglie Gesù accoglie il Padre che lo ha inviato all'umanità.
"Signore, che io riabbia la vista!" dev'essere il grido di preghiera del cristiano che, dopo aver accolto e seguito Gesù nella sua adolescenza e gioventù, sedotto dagli idoli di questo mondo, si è allontanato dal Signore commettendo gravi peccati che gli hanno chiuso gli occhi del cuore, perdendo così la grazia di Gesù Cristo, l'amore del Padre e la comunione dello Spirito Santo.
Se hai perso la visione di Dio e oggi ti trovi sul ciglio della strada a mendicare amore con un cuore deluso, grida forte verso Gesù dicendo: "Gesù, abbi pietà di me peccatore e apri i miei occhi per vedere di nuovo il tuo Volto Santo in me, negli altri e nel creato!”. Se il tuo grido sarà insistente come quello del cieco di Gerico, Gesù non ti deluderà e ti restituirà la gioia di vedere e gustare di nuovo quanto è buono il Signore!". Amen. Alleluia.
(P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)

Abbraccio di Gesù

IL GRANELLINO🌱
(Lc 13,18-21)

Questo passo del Vangelo mi è molto caro. Posso dire che gli insegnamenti di Gesù sono verità eterne. Ecco perché non bisogna mai dubitare di quello che Gesù ci dice. Tutto ciò che si fa per amore di Gesù cresce a dismisura. Un sorriso che comunichi diventa una catena di sorrisi. Un abbraccio che dai per amore di Gesù diventa una catena di abbracci. Una elemosina che fai per amore di Gesù diventa una catena di opere buone. Una catechesi che fai per amore di Gesù diventa un passaparola senza fine. Un uomo che porti a Gesù e si converte diventa un popolo di adoratori in spirito e verità. Questo lo dico non per sentito dire, ma per esperienza personale. Tutto ciò che si fa e si dice per amore di Gesù cresce e si moltiplica. Tutto quello che si fa per il Signore ha uno sviluppo così grande che l'uomo non riesce a prevedere.
Chi semina è l'uomo, ma chi fa crescere il seme è l’onnipotenza di Dio. L'uomo di fede semina sempre con speranza. Tutto ciò che è impregnato di Spirito Santo porta in sé la vita di Dio che realizza sempre i progetti degli uomini di fede. Lo Spirito Santo è il Signore che dà vita. Quando si lavora in unione con lo Spirito Santo, ogni opera intrapresa per la crescita del regno di Dio diventa universale.
Sono ormai tre anni e sei mesi che IL GRANELLINO viene pubblicato su Whatsapp. In questo tempo non c'è stato un giorno in cui il seminatore non è uscito a seminare. La perseveranza è una virtù che lo Spirito Santo elargisce agli uomini di buona volontà. Grazie alla potenza dello Spirito Santo IL GRANELLINO viene letto e meditato in undici lingue. Che crescita sta avendo questo GRANELLINO che, inizialmente, agli occhi degli uomini sembrava insignificante!
Grazie a IL GRANELLINO oggi vengo chiamato da molte comunità parrocchiali per evangelizzare. È una fatica grande, ma chi semina nel pianto raccoglie nella gioia. Infatti, dopo aver evangelizzato, ritorno a Napoli nella mia casa religiosa sempre con grande gioia e con spirito rinnovato. Amen. Alleluia.

(P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)


(Lc 13,10-17)

Ci sono malattie del corpo e dello spirito, ma quelle che fanno soffrire di più l'uomo sono le infermità dello spirito. Uno più si allontana da Dio, più si ammala nello spirito. In noi c'è un ordine ed esso diventa disordine a causa della nostra disobbedienza alla legge di Dio. Il peccato rompe in noi l'armonia che è costruita sulla Parola di Dio. La personalità che non è costruita sulla Parola di Dio è debole. Così, quando sopraggiungono un dolore, una sofferenza, una delusione e una croce all'improvviso, l'uomo interiormente debole si accascia, cammina sempre curvo, sentendosi oppresso e affaticato. L'oppressione può durare anche diciotto anni. L'idea fissa è difficile sradicarla dalla mente quando le radici sono profonde. Si vive così in modo irrazionale. A mio avviso, si può guarire più facilmente dalle malattie fisiche che da quelle dello spirito. Gli psicofarmaci sanano le malattie dello spirito? No. Solo chi ha creato l'anima può sanare l'anima lacerata dai modi irrazionali di vivere.
Ecco perché bisogna subito entrare a far parte attivamente della vita della Chiesa. La Chiesa è un ospedale dove il Medico Gesù Cristo cura soprattutto le malattie dello spirito. Il Signore purifica la memoria da qualsiasi cattivo ricordo. Non ricorderai più il male che ti è stato fatto o che hai fatto per ignoranza. Il tuo cuore non è più lacerato e spezzato dalle delusioni e dalle mancanze di amore che ti hanno procurato ferite indicibili. Gli psicofarmaci che il Medico ti dà gratuitamente sono due: Confessione e Eucarestia. La cura è efficace, ma ha bisogno di tempo per sanare nell'intimo. Il Signore non ti guarisce subito perché Egli sa che se ti sanasse all'istante, lasceresti subito l'Ospedale con il grande rischio di ammalarti più gravemente di prima.
Una volta, ascoltando la testimonianza di una sorella in Chiesa, ella disse con le lacrime agli occhi: "Solo il Signore ha sanato il mio cuore dall'odio profondo verso mio padre che durava da molti anni, ma vi dico che, se mi allontano da questo Ospedale, diventerò peggiore di prima". E questo lo diceva aggrappandosi alla croce che stava a fianco a lei. Amen. Alleluia.
(P. Lorenzo Montecalvo dei Padri Vocazionisti)

Notte oscura

articolo dal sito:
http://angelo.montonati.it/santi-e-beati/51/la-notte-oscura/



Angelo Montonati
giornalista e scrittore

La “notte oscura”


Nella vita dei santi si manifesta quella che un grande mistico come san Giovanni della Croce ha chiamato “notte oscura”, cioè un’esperienza spirituale difficile e angosciante, in cui si alternano smarrimento, aridità, impotenza, dolore e disperazione; una notte dello spirito e dei sensi attraverso cui l’inferno o il purgatorio dell’anima sono un passaggio obbligato verso il paradiso dell’illuminazione spirituale e della perfetta unione d’amore con Dio.
La grande Teresa d’Avila, nel pieno della sua attività di riforma del Carmelo, la sperimentò: «Allora», racconta nella Vita, l’autobiografia da lei intitolata “Delle misericordie di Dio”, «mi dimenticavo le grazie ricevute delle quali mi rimaneva soltanto un ricordo come di un sogno lontano che accresceva la mia pena. L’intelligenza si offuscava ed io mi trovato avvolta in mille dubbi e ansietà. Mi pareva di non saper ben capire ciò che accadeva in me, dubitavo che non si trattasse d’altro che di immaginazioni mie. E allora pensavo: perché trarre in inganno anche gli altri? Non era forse sufficiente che fossi ingannata io sola? E intanto diventavo così pessima ai miei occhi da credere che tutti i mali e le eresie che desolavano il mondo fossero un effetto dei miei peccati».
A volte sperimentava le tentazioni più strane nei momenti in cui la tensione spirituale sarebbe dovuta essere più intensa: un giorno, antivigilia della solennità del Corpus Domini, la sua mente si riempì di pensieri frivoli, rimanendo come inceppata, non più padrona di sé: «Mi pareva», confesserà, «che i demoni giocassero alla palla con l’anima mia, senza che potessi sottrarmi alle loro mani».
La stessa cosa capitava all’altra grande carmelitana, Teresa del Bambino Gesù, che ne parla diffusamente nella sua Storia di un’anima: «Nei giorni felici del tempo pasquale», scrive, «Gesù mi fece sentire che esistono veramente delle anime che non hanno la fede, che per abuso delle grazie perdono questo dono prezioso, questa sorgente delle gioie pure e vere. Egli permise che la mia anima fosse invasa dalle tenebre più fitte, e che il pensiero del Cielo, così dolce per me, diventasse un argomento di lotta e di tormento… Questa prova non doveva durare solo qualche giorno o qualche settimana, bensì era destinata a durare fino al momento deciso da Dio e… questo momento non è ancora arrivato… Vorrei poter esprimere ciò che sento ma, ahimè, penso che sia impossibile. Bisogna aver viaggiato in questa cupa galleria per capirne l’oscurità. […] Quando voglio far riposare il mio cuore, affaticato dalle tenebre che lo circondano, il mio tormento diventa più grande per il ricordo del paese luminoso al quale aspiro; ho l’impressione che le tenebre, assumendo la voce dei peccatori, si prendano gioco i me dicendomi: “Tu sogni la luce, una patria avvolta nei più soavi profumi; tu sogni il possesso eterno del Creatore di tutte queste meraviglie; tu credi che un giorno ti libererai dalle nebbie che ti circondano! Avanti, avanti, rallegrati della morte, che ti darà non ciò che speri, ma una notte ancor più profonda, la notte del nulla”». Era il 5 aprile 1896, giorno di Pasqua: la prova sarebbe durata altri 18 mesi, fino alla morte della santa.
Drammatica fu l’esperienza di un’altra mistica di straordinario spessore, santa Maria Maddalena de’ Pazzi: anche lei dovette affrontare cinque durissimi anni di prova, raccontati nel libro della Probazione, durante i quali le toccò lottare contro il demonio e affrontare tentazioni di ogni genere – contro la purezza e l’umiltà, tentazioni di gola e di disperazione – sperimentando la completa aridità spirituale. Ad un certo punto fu assalita dal dubbio di avere sbagliato tutto scegliendo la vita claustrale e le venne insinuato di gettare l’abito e di tornarsene a casa.
Al culmine di queste prove, si trovò in preda alla disperazione: arrivò a credere di non salvarsi, si sentiva dannata e un giorno fu trovata persino con una corda al collo perché voleva suicidarsi. Poi il Signore le affidò una missione importante, quella di contribuire – attraverso la comunicazione di speciali rivelazioni mistiche – alla “rinnovazione” di quei settori della Chiesa in cui dilagavano la corruzione, la tiepidezza, la mancanza di unità.
Una componente tremenda di questa “notte oscura” è costituita dalle continue vessazioni diaboliche; sono numerosissime le testimonianze al riguardo nella storia di molti santi: Francesca Romana, ad esempio, subì per anni, praticamente fino alla morte, gli assalti del demonio che furono ampiamente documentati nei processi di canonizzazione. Raimondo da Capua ci ha raccontato che più di una volta santa Caterina da Siena fu buttata nel fuoco in presenza di quelli che istruiva e, rialzatasi da sola, diceva sorridendo: «Non temete, è la brutta bestia».
Non altrimenti, in tempi più vicini a noi, ecco santa Gemma Galgani, che un giorno viene trovata con i capelli strappati, il volto tumefatto e le ossa lussate, dopo che il suo confessore aveva visto un enorme gatto nero dall’aspetto terrificante coricato su di lei e volatilizzatosi non appena asperso con acqua benedetta.
Tra i contemporanei non possiamo non citare il francese san Giovanni Maria Vianney (il curato d’Ars) e san Pio da Pietrelcina. Il povero curato all’inizio del suo ministero dovette subire critiche, denunce, ironie dei suoi stessi confratelli che alimentarono in lui un crescente senso di profonda indegnità: la fase più tragica della sua “notte oscura” raggiunse momenti di autentico parossismo anche per ripetuti interventi demoniaci.
Nel giugno 1912 padre Pio scriveva al suo confessore che il diavolo si era accanito una intera notte su di lui, «battendomi quasi a morte», precisava: «Chissà quante volte mi ha gettato dal letto per trascinarmi nella camera?». E un’altra mattina, rialzandosi tutto insanguinato, scriveva: «Quando questo bruto se ne andò, il freddo mi invase dalla testa ai piedi. Tremavo come una canna esposta a un vento impetuoso. Durò circa due ore. Dalla mia bocca usciva sangue. Dal giovedì sera al sabato per me è una tragedia dolorosa…».
Il 4 giugno 1918 il santo raccontava, sempre al suo confessore: «Le lacrime sono il mio pane quotidiano. […] La paura e il brivido mi hanno assalito e le tenebre mi hanno ricoperto da ogni parte. Sono steso sul letto dei miei dolori, pieno di affanni cerco il mio Dio. Ma dove trovarlo? Oh, Dio mio, mi sono smarrito e ti ho perduto. Mi hai condannato a vivere per sempre lontano dal tuo volto? Mi assopisco e cado in deliquio. A volte i più forti tormenti agitano il mio spirito in cerca della sua identità. Diventa irrequieto, poi cede, cercando invano di ritrovare il tesoro perduto».
E il 27 luglio dello stesso anno: «Il mio spirito è smarrito, abbandonato, depresso. Questo è il martirio più raffinato che la mia fragilità fosse in grado di sopportare. Ho perduto ogni traccia del Bene sovrano. Sono abbandonato, solo nella mia nullità e nella mia miseria, senza alcuna conoscenza della Bontà suprema, eccetto un desiderio, veramente sterile, di amarlo. In mezzo a questo abbandono totale, mi vedo costretto a vivere, quando a ogni istante sarebbe desiderabile morirne».
Sono momenti tremendi, che però i santi hanno saputo superare grazie al loro amore e alla loro fede che non cedevano. San Giovanni della Croce sottolinea, nella Salita al Carmelo, il ruolo di purificazione della sofferenza liberamente accettata e perfino desiderata: «Cercare preferibilmente non il più facile, ma il più difficile, non ciò che consola, ma ciò che affligge». Così l’anima ritrova la pace: accadeva, ad esempio, a Santa Teresa d’Avila, dopo la Comunione. A volte il Signore le appariva dicendole: «Non ti affliggere, non aver paura!» e lei commentava: «Sembra allora che l’anima esca dal crogiuolo, come l’oro, più raffinata e con l’occhio più atto a contemplare Iddio che dimora nel suo interno. Quei travagli che prima parevano insopportabili, le divengono cose da nulla, e desidera, così piacendo al Signore, di tornare a soffrirli».
A sua volta Teresa di Lisieux confessava: «Ad ogni nuova occasione di lotta, quando il mio nemico viene a provocarmi, io mi comporto coraggiosamente: sapendo che è vile combattere in duello, giro le spalle al mio avversario senza degnarlo di uno sguardo, e corro dal mio Gesù, gli dico che sono pronta a versare fino all’ultima goccia del mio sangue per testimoniare che esiste un paradiso. Gli dico che sono felice di non godere di questo paradiso in terra, perché Lui lo apra per l’eternità ai poveri increduli. Così, malgrado questa prova che mi toglie ogni gioia, posso ugualmente esclamare: “Signore, tu mi colmi di gioia per tutto quello che fai” (salmo 191). Esiste una gioia più grande di quella di soffrire per il tuo amore?».
Sulla medesima lunghezza d’onda il Curato d’Ars: quando la sofferenza toccava il massimo, si abbandonava maggiormente fra le mani di Dio, gettandosi davanti al tabernacolo «come un cagnolino vicino al padrone». A volte, l’ossessione lo perseguitava fino all’altare: «Dopo la consacrazione», affermava, «quando tengo nelle mani il santissimo Corpo di Nostro Signore, e quando sono nelle ore di scoraggiamento, non vedendomi degno che dell’inferno, io dico: “Ah! Se almeno potessi portarlo con me! L’inferno sarebbe dolce vicino a lui. Non mi costerebbe punto rimanervi tutta l’eternità a soffrire, se fossimo insieme!”. Ma allora non sarebbe più inferno, le fiamme dell’amore estinguerebbero quelle della giustizia».
Il cappuccino di Pietrelcina non ragionava diversamente: «Niente desidero», scriveva durante una delle tante prove spirituali e fisiche che dovette superare nell’arco della sua lunga esistenza, «fuorché amare e soffrire. […] Sono contento anche in mezzo a queste afflizioni, poiché grandi ancora sono le dolcezze che il nostro buon Gesù mi dà a gustare quasi tutti i giorni. […] Soffro, è vero, e soffro assai, ma sono lietissimo perché anche in mezzo al soffrire non cessa il Signore di farmi sentire una gioia inesprimibile».
Ed ecco infine la testimonianza di una mistica contemporanea: la francese Marta Robin, stigmatizzata come padre Pio, anch’essa tormentata dal demonio in maniera orribile: flagellata, battuta, bruciata, coperta di piaghe; a volte le rubava i vestiti, la toglieva dal letto e la portava fuori, la gettava nuda sul ghiaccio, e ciò in presenza di testimoni che sentivano i colpi, vedevano le piaghe e assistevano ai rapimenti. Ma ecco la sua reazione: «La sofferenza», affermava, «non è solo una prova , è prima di tutto e soprattutto un grande gesto d’amore, un rinnovamento della vita interiore, un incoraggiamento per l’azione, perché raggiunge e fa scattare le nostre più intime risorse e ci ricorda il fine al quale dobbiamo tendere. […] La sofferenza è il nuovo, lo sconosciuto, il divino, l’infinito che penetra la vita come una spada rivelatrice, svelandoci i desideri divini di Cristo in ciascuno di noi. Gesù ci insegna a guardare più in alto, più lontano, soprattutto con più amore, ciò che il linguaggio umano chiama dolore e sofferenza, ma che in realtà è solo la condizione suprema di un’eternità di felicità e d’amore nel cielo. […] Non saprei vivere altrimenti che nell’amore, nelle pene, nelle immolazioni di Gesù, per essere espiatrice, redentrice e conquistatrice con Gesù, come Gesù».
Si potrebbe continuare con altri nomi del passato e del presente, ma la sostanza non cambia: la “notte oscura” può diventare la strada per dimostrare a Dio il nostro amore, accettando le prove che egli ci manda, spogliandoci della nostra volontà per identificarci nella volontà divina: «Il cuore dell’uomo», sono parole della Robin, «si misura dall’accoglienza fatta alla sofferenza, perché questa è in lui l’impronta di Uno diverso da lui».